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Appuntamento al bar

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Perché ero venuto fin qui? mi chiesi per l’ennesima volta mentre spingevo la porta a vetri del bar. Me l’ero chiesto anche per tutto il percorso dal mio appartamento di scrittore misantropo fino a quel bar di periferia. Non ero abituato ad uscire a quell’ora, le quattro del pomeriggio. Non amavo la luce del giorno e nemmeno la folla che mi passava accanto sfiorandomi. Preferivo uscire di notte, quando le strade erano semideserte e il rumore dei miei passi sul cemento era la mia sola compagnia. In quei momenti, allora, camminare mi trasmetteva un senso di serenità paragonabile solo a quello che provavo scrivendo. Avrei potuto dire di no, rifiutare quell’incontro. In fondo, non gli dovevo niente, non c’era ragione che io e lui ci incontrassimo. Eppure, quando avevo sentito al telefono la sua voce rauca, il suo respiro affannato, non avevo pensato nemmeno per un attimo di dire di no. Avevo sempre saputo che quel momento sarebbe venuto, prima o poi, e per tutti quegli anni, inconsciamente,

Quel che resta di Pietro

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Nel cestino non c’era niente, soltanto cartacce e vecchi giornali, ma l’uomo non si arrendeva e continuava a cercare, ostinatamente, gettando a terra con stizza tutto quello che non gli serviva, sotto lo sguardo sprezzante dei passanti. Che disprezzassero pure, non gliene fregava niente, lui quel giorno aveva soltanto fame e finalmente, proprio sul fondo del cestino, trovò mezzo panino al salame. Rapidamente l’afferrò e se lo portò alla bocca, ma in quel momento il portone della casa di fronte si aprì e lei apparve. Era bellissima, come sempre, avvolta nella giacca di pelliccia, con una minigonna che le scopriva le lunghe gambe muscolose. Il suo sguardo girò sulla piazza ma niente e nessuno attirava la sua attenzione. E cosa avrebbe potuto attirarla, in fondo? Lei non era una donna qualunque, l’uomo se n’era accorto fin dalla prima volta in cui l’aveva vista, circa un anno prima. Quando lei appariva il mondo cessava di esistere. L’uomo mise il panino nella tasca dell’impermeabile beig

Ana, l'amica

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  Quando è arrivata ero piegata ad allacciarmi le scarpe, ero quindi all'altezza delle sue gambe. Impossibile non notarle, perché erano troppo sottili anche sotto i pantaloni della tuta. Gambe che sembrava non potessero sorreggere nessuno. Poi ho visto le braccia, sottilissime. E alla fine, nascosta dai capelli, la faccia, con la pelle così fine da sembrare che stesse per essere inghiottita dalle ossa di quello che ormai era molto simile a un teschio.  Ci sono malattie che sono ancora più brutte perché sono inspiegabili . Rannicchiata sul letto, Gaia sfiorò con il dito la foto che aveva appena scattato e sorrise. La allargò per guardarla meglio e sorrise ancora, pensando ai commenti che avrebbero fatto le ragazze del gruppo, le sue amiche. Sentì i passi di sua sorella nel corridoio, poi la porta si aprì, come per una folata di vento, e Greta entrò nella stanza proprio nel momento in cui Gaia premette il pulsante di invio. "Cosa ci fai qui? Non hai mangiato nemmeno il dolce?&qu

Un matrimonio sbagliato

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Lo guardava camminare lungo il naviglio, avanti e indietro, con la sua ragazza. Un paio di volte lui alzò gli occhi prima che lei tirasse la tenda e il loro sguardo si incrociò. Sì sposarono una decina di anni dopo, in piena guerra. La chiesa non aveva più il tetto e lei indossava un vestito scuro che si era cucita da sola. Ogni tanto le arrivava la voce piagnucolosa di una bambina che si lamentava perché voleva vedere una sposa vestita di bianco. Era un matrimonio sbagliato. Andarono a vivere con i suoceri, altri parenti abitavano accanto. C'era sempre qualcuno a pranzo e a cena. Lui lavorava tutto il giorno, lei si occupava della casa e della cucina. Non erano quasi mai soli, tranne alla sera, nella loro stanza, quando crollavano stanchi. A volte lui usciva a cena e rientrava quando lei era già addormentata. Era un matrimonio sbagliato. Lei guardava il naviglio con le mani appoggiate al parapetto di pietra e le sembrava di veder scorrere la vita. Passarono gli anni, se ne a

Un errore giudiziario

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IN PRIMA PAGINA   Era strano ma, quando un fotografo gli aveva sparato il flash in faccia, l'euforia per l'assoluzione si era dileguata e aveva desiderato soltanto di tornare a casa. In quel momento infatti si era reso conto che nessuno dei suoi amici era lì, perché ormai di amici non ne aveva più. E non c'erano nemmeno sua moglie e sua figlia. Anche i giornalisti erano pochi, uno sparuto gruppo, ridicolo in confronto alla moltitudine che si era accalcata dieci anni prima, quando gli articoli sul suo arresto avevano occupato le prime pagine. La foto che gli avevano appena scattato sarebbe finita invece in quindicesima pagina, a corredo di un articolo che in pochissimi avrebbero letto. Forse non l'avrebbero nemmeno riconosciuto: calvo, con gli occhiali, ingrassato, a volte lui stesso faticava a riconoscersi. Soprattutto non riusciva più a ritrovare l'uomo di dieci anni prima, quello felice di vivere, convinto che l'equivoco si sarebbe risolto velocemente. Non ave

In libreria

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  NOI Mi sono girata e ti ho visto. Per un attimo è stato come se tutto questo tempo, e anni, e giorni, si fossero dileguati. È stato come se ci fossimo solo noi, io e te, quelli di tanti anni fa. Era bello guardarti e scoprirti così simile ad allora, anche se leggermente invecchiato. E nello stesso tempo era normale che fossi di nuovo qui, così vicino, come sei stato per tanto, come se ci fossi sempre stato. Eri la persona con cui parlavo di più, la persona a cui raccontavo tutto, ma eri anche quella con cui mi arrabbiavo di più. Anche tu ti arrabbiavi. Abbiamo fatto liti terribili, in cui ci dicevamo cose spaventose. Poi, all'improvviso, ci ritrovavamo avvinghiati, le nostre mani che armeggiavano con cerniere e bottoni. Pensavo che sarebbe stato sempre così, che avresti fatto parte della mia vita per sempre. Invece un giorno, dopo l'ennesima lite, non ho avuto voglia di cercarti. Volevo essere libera, non rivederti più, conoscere altre persone. Mi sono sforzata di non pensa

Messaggio in bottiglia

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  La lettera Mi guardai attorno un po’ smarrita: gli scatoloni mi circondavano ovunque, la casa era quasi tutta impacchettata e pronta per il mio trasferimento. Ebbene sì, me ne stavo andando: chi l’avrebbe mai detto? Dopo tanto tempo, una parte di me sarebbe comunque rimasta qui, tra queste mura bianche, che non ho tinteggiato perché da mesi ormai sapevo che sarebbe venuto questo momento. Sospirai e mi diressi verso la credenza, l’unico mobile che restava ancora da espugnare, e quando aprii le ante per scoprire le file di piatti e bicchieri da imballare, fui quasi presa dallo sconforto: interminabili file di piatti e bicchieri acquistati anni prima, parte di una lista nozze sfruttata soltanto a metà. L’altra metà è rimasta a dormire in armadi e credenze per anni, in attesa della grande occasione in cui li avremmo utilizzati, ma quella grande occasione non è mai arrivata. O forse, anche in quell’occasione, ho utilizzato i piatti di tutti i giorni, quelli più semplici e pratici, che non